
Norah
Lange aderì al movimento ultraista argentino che si proponeva una
trasformazione estetica e linguistica vicina al Surrealismo, anche se meno
radicale. Fu proprio Jorge Luis Borges a stilare i canoni di questa nuova corrente
letteraria che privilegiava:
- La
riduzione dell’elemento lirico al suo elemento primordiale, la metafora
- La
totale cancellazione delle frasi esplicative, delle congiunzioni, degli
aggettivi inutili
- Eliminazione
degli artifizi ornamentali, dei confessionalismi, circostanzialismi, prediche e
nebulosità portate agli estremi
- La
sintesi di due o più immagini in una, ampliandone così la suggestività
Nelle
opere di Norah Lange si percepisce con chiarezza l’adesione a questi canoni che
rendono la sua scrittura agile, elegante e concentrata.
Il suo
primo libro di poesie “La calle de la tarde” è del 1925 a cui seguiranno “Los
dias y las noches” (1926), “El rumbo de la rosa” (1930), la novella “Voz de
vida” (1927) e il romanzo, all’epoca definito scandaloso, “45 dìas y 30
marineros” (1933). In seguito scriverà “Personas en la sala” (1950) e “Los dos
retratos” (1956). Nel 1958 ricevette il Gran Premio de honor e medalla de oro dalla
Società Argentina degli Scrittori. Nel 1972, anno della sua morte scrive la
novella “El cuarto de vidrio”.
Viaggiatrice
instancabile, insieme al marito Oliverio, sempre tesa all’esplorazione di mondi
sconosciuti dentro e fuori di sé, come testimonia la sua poesia, che si fa
cifra dell’inquietudine esistenziale, tesa verso una ricerca inesausta di nuovi
orizzonti, Norah Lange conosce a fondo le infinite possibilità che si celano
dietro la parola, soprattutto quando questa viene pronunciata in solitudine. Il
potere che sprigiona la parola si modifica, cominciando a trasmutare in
qualcos’altro. Come un sasso gettato nello stagno, essa comincia ad espandersi
in cerchi sempre più ampi che le danno movimento. E’ un’esperienza che può
incutere sgomento, soprattutto se si fa questo esperimento alchemico col
proprio nome, come aveva sperimentato lei stessa.
Tema caro
alla poesia modernista ispanoamericana e ricorrente nella poesia di Norah Lange
è la Notte. Notte intesa come spazio-tempo del Silenzio, dell’Attesa,
dell’Oscurità e della Morte, illuminato dalla lontananza imperturbabile degli astri,
e in particolare dalla Luna. Si tratta di una Notte che diviene tempo della
Rivelazione, del Viaggio interiore. In questo tema caro agli ultraisti, ritroviamo
echi della grande poesia mistica di San Juan de la Cruz, dei metafisici
inglesi, di Novalis, fino a giungere alla descrizione della Notte di Baudelaire
che si espande, profonda ed ambigua, nella grande metropoli parigina.
Nella
poesia di Norah Lange che qui presentiamo la Notte ha perduto le sue
prerogative di spazio caratterizzato dal Silenzio e dall’Oscurità, per divenire
tempo dell’ansia e dell’incompiutezza del vivere. Pur permanendo la dimensione
malinconica, l’Io poetico scompare, per cedere il posto ad una frammentazione
inquietantemente metafisica. La piazza si dilata lievitando nei suoi dettagli
architettonici, fino ad offrirsi allo spettatore in una sorta di visione
sinestetica.
VERSOS A UNA PLAZA
La tarde muere como una eremita.
Sobre la espalda de la noche
el cielo se estremece apretado de estrellas.
La noche crispada y lenta
se apega a los faroles,
pequeños y suaves como una luna nueva.
Plaza: sobre tu umbral de sombras su voz sube como una letanía
al silencio verde de tus árboles.
Los caminos son temblores de dicha bajo la llamarada azul de tanto cielo.
La ciudad se rompe bruscamente
contra el regazo de tus esquinitas verdes.
Cuántas promesas murieron bajo el crucifijo de tinieblas mientras la noche silenciaba los caminos
y el olvido florecía como una rosa
sobre el lugar de la cita!
Plaza: tienes la tristeza humilde
de una tarde grande y quieta con alas de ceniza,
y los paisajes son demasiado altos para tu corazón de campo!
Norah Lange (da Los días y las noches, Buenos Aires, 1926)
Norah Lange, grazie alla limpidezza della sua prosa e alla capacità visionaria della sua poesia, è una figura emblematica della Buenos Aires della prima metà del secolo scorso, città affascinate e molteplice, a tratti spaesante proprio perché in grado di accogliere in sé tutti i popoli e tutte le etnie in una sorta di Athanor cosmopolita.
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