La raccolta poetica di Rolando Revagliatti (Argentina, 1945)
si apre con una voce presa direttamente dal dizionario, la parola ripio.
Ripio, è infatti il titolo di questo lavoro, e il
vocabolario sembra essere stato citato apposta per chi, come me, non è
madrelingua spagnolo, o più semplicemente per chi rischia di perdersi qualche
sfumatura. Uno dei più famosi traduttori online traduce sbrigativamente il
termine con “ghiaia” ma, ci avvisa il dizionario, questa voce può avere più di
un significato: residuo che resta di una cosa; ciottolo, maceria che si usa per
pavimentare; parola o frase inutile o superflua che si utilizza viziosamente al
solo scopo di completare il verso, o dargli la consonanza o l'assonanza
desiderata; gruppo di parole inutili o con le quali si esprimono cose vane o
non sostanziali.
Già il titolo, insomma, sembra essere una chiara
dichiarazione di poetica: i testi di Revagliatti, nati da un pugno
rivoluzionario anticlassicista, possono essere esattamente come questo titolo,
e avere quindi una doppia valenza: si può cogliere la poesia intrinseca a
questo titolo residuale, e al contempo si può vedere il gioco inutile e
superfluo che l'autore sa di celebrare.
Già dall'indice di questo libro capiamo che per Rolando
essere rivoluzionario non significa ignorare i classici, ma al contrario
conoscerli, invaderli, riscriverli, impossessarsene per poi ricrearsi lontano
da loro. Ecco allora presenti all'appello poesie come “A Charles Dickens”,
“Espectatores de 'Hernani' de Víctor Hugo” o “A Hernest Hemingway”.
La caratteristica più evidente di questa raccolta è quella di
essere una grande riflessione sulla scrittura a 360 gradi, poiché Revagliatti
non scrive solo poesia, ma anche prosa e teatro. Ecco allora che le sue poesie
sono un continuo dialogo tra lui e il suo lettore (“Gravitando en algún roce sobre ti / lector y
malentretenido / logro socializar la varita / mágica del hada.”), nonché una riflessione ad alta voce
tra lui e se stesso (“La página
recobra / unanimidad en el asco / recobra / un invento divino: / la anguila
lánguida // Alquila bordes a los satélites / recobra entrañas: / ¿néctar o
fuga?”).
Nella particolare contaminazione delle scritture concessa dall'autore, i
personaggi entrano nel mondo poetico come proiezioni (“Se infiltran en las pesadillas de tus personajes
/ unos que embadurnan con plumas fascistas del Ku-Klux-Klan / y sellan con sus
orgías crucificantes / el colapso // Así como antes esos personajes / se
infiltraron / en tus pesadillas.”), come anche gli appunti drammaturgici (“[...] Escenas
opcionales: / por ejemplo con Elvira / la hermana mayor de Orlando / quien tuvo
una hija: Nelly / aliándose con Margarita / la otra hermana mayor de Orlando /
quien tuvo un hijo: Mario / en contra de Orlando / el hermano menor de Elvira y
Margarita / quien también tuvo un hijo [...]”) o gli esercizi sulla
prosa (come nella poesia “Les dejo este ejercicio y me lo traen para la próxima
clase”).
Altra caratteristica
fondamentale di questo testo è la continua riflessione sulla lingua, e sulla
creazione della lingua. Rolando, infatti, sembra voler rivoluzionare anche il
linguaggio, forgiare nuove parole ed espressioni forse più capaci di descrivere
il mondo pur nella loro apparente stranezza (“ 'Sembrado de cadáveres' /
¿Puedo acuñar la expresión 'sembrado de cadáveres'? / No, no puedo acuñar
'sembrado de cadáveres' / porque ya está acuñada”).
Tale riflessione si
sviluppa anche attraverso il ripio, ossia quel giocare vizioso ed
inutile che sembra nascere solo per completare un verso. Da questo apparente ripio
nascono dei giochi di parole interessanti come il verso “careo, caca y
cacareo” o il titolo di una poesia, “La novela no vela, ¿no?”.
Questo testo, continuo
discorso letterario e poetico, assume i rischi di trascinare il lettore in un
vortice di pensiero costante ed instancabile che può estraniare il lettore,
come anche il suo stile rivoluzionario. Ma Revagliatti non ci aveva forse
avvisati con il suo titolo non privo di sfumature?
(di Federica Volpe)
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